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136 - Giolitti a Cavour, pensando a quella guerra non voluta

136 - Giolitti a Cavour, pensando a quella guerra non voluta

In una lettera inviata da Cavour il 10 maggio 1915 al figlio (e conservata per sempre dal nipote Antonio), Giolitti così scriveva:

               “Carissimo Giuseppe,

ho creduto bene venire a Cavour perché la mia presenza alla seduta della Camera avrebbe potuto essere occasione o pretesto a qualche intemperanza non conciliabile con la solennità di una seduta che deve prendere decisioni vitali per il paese. E dato che io credevo mio dovere astenermi dall’intervenire della Camera ho creduto opportuno togliere occasione a scenate per le vie di Roma.
Ora non mi resta che augurare dal più profondo del cuore che ogni mio timore risulti dai fatti completamente infondato...  
…io sono perfettamente tranquillo avendo seguito quella linea di condotta che la mia coscienza mi indicava come uno stretto dovere verso la patria.
La vita politica non è conciliabile con una vita tranquilla quando non si è disposti a transigere; e l’affrontare l’impopolarità è in alcune occasioni il più assoluto dovere…”.

Nel suo libro di ricordi, il nipote Curio Chiaraviglio descrive bene la decisione dello Statista di tornare da Roma a Cavour, dopo che l’entrata in Guerra dell’Italia era diventata definitiva. Descrive la Sua partenza (non preannunciata per motivi di sicurezza), il pericolo dell’esaltazione dei gruppi giovanili favorevoli al conflitto, il suo rifiuto a seguire itinerari protetti e uscite di sicurezza, la fermezza con cui affronta fischi e insulti gridando a sua volta “…ma almeno una volta gridate VIVA L’ITALIA!”
Descrive poi i primi profondi pensieri che accompagnano il Nonno durante tutto il viaggio fino al profilarsi all’orizzonte della Rocca di Cavour, lo sgomento per la guerra ormai decisa, i Suoi ragionamenti sulle polemiche da evitare per chi come lui era contrario, sulle forze da riunire per accrescere la capacità di resistenza, sulla mancanza di immaginazione della gente che non intuiva la gravità di quella decisione, sui sacrifici e sulla sofferenza che vedeva avvicinarsi con grande perdita di vite umane e, infine, sulla necessità grandissima di dover fare tutto il possibile per sostenere comunque il morale del Paese.
E Curio ancora descrive nel libro la propria grande impressione nell’ascoltare quei discorsi del nonno, nel pensare che molti di quei giovani inneggianti alla guerra, forse avrebbero perso la vita, ignari e nello stesso tempo “esaltati da sentimenti patriottici sinceri” e anche “mossi da alti ideali e slanci generosi”.
In un’altra lettera, datata 10 settembre 1915, Giolitti, con gli auguri per il compleanno di un nipotino, così scrive alla figlia Maria “…Forse egli vedrà il mondo, dopo l’assestamento che deve seguire al cataclisma presente, sotto un nuovo e migliore aspetto, e se parteciperà alla vita pubblica porterà le tradizioni di intemerato patriottismo e di operosità delle due famiglie da cui esce…”.
Curio Chiaraviglio, nato nel 1897, era figlio di Enrichetta Giolitti (secondogenita dello Statista) e dell’Ing. Mario Chiaraviglio (piemontese, deputato, nel 1915 oppositore pure lui all’entrata in guerra dell’Italia). Nel 1916, a diciannove anni, da Cavour sarà chiamato al servizio militare e pochi mesi dopo dovrà partire per il fronte.
Ci resterà fino alla fine della guerra, ritornando fra l’altro, depresso e visibilmente dimagrito, tanto che il Nonno, molto preoccupato per la sua salute, lo inviterà presso di lui a Cavour “a rimettersi in salute in un ambiente così tranquillo”.
Giolitti, in quel periodo volontariamente lontano da ogni attività politica (salvo il breve viaggio a Roma del 17 novembre 1917, fatto per un appello “all’unione sacra” di tutti gli italiani dopo il disastro di Caporetto), a Cavour non è certo “disoccupato” ma fa vita più ordinata, pur “con sempre qualcosa da fare”: cura le piante, legge, scrive, passeggia, conversa e… medita. 
Quando, nel 1920 riprenderà le redini del Governo “invocato da tutta la Nazione” (sarà il suo 5° e ultimo ministero), qualcuno scriverà che il Parlamento, “ridotto a una bettola, ha ripreso la sua funzione e ora, con la Sua presenza attiva, è ridiventato un’assemblea”.
E’ possibile che la presenza di Giolitti neutralista a Cavour durante tutto il periodo bellico ’15-’18, abbia contribuito a far arrestare per disfattismo il cappellano di Babano, Don Domenico Franchetti, che, nel 1916, si era dimostrato apertamente contrario al conflitto con dichiarazioni e conferenze, attirando su di sé l’attenzione delle autorità che temevano il lavoro “sotterraneo” dello Statista e dei giolittiani in genere.

 


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