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Da Cavour un canto popolare per Re Carlo Alberto

E’ datato 11 novembre 1847 ed è un cosiddetto “canto polimetro” a firma del sacerdote Bartolomeo Ortolani, professore di Rettorica e Rettore del Convitto di Cavour. Ci è stato trasmesso da Pier Gioachino Buffa di Perrero, discendente del ramo primogenito dei Conti di Perrero: a quell’epoca il suo bisnonno Luigi era vice-sindaco di Cavour.

Sulla pagina che precede il testo della ode si legge:

“Il COMUNE DI CAVOUR”, addì 11 novembre 1847, adunato a festa per celebrare anche esso le generose riforme legislative di S.S.R.M. nostro amatissimo Re CARLO ALBERTO, per conservare nel paese la memoria di un giorno si caro e solenne, mandò a stamparsi questo canto popolare, letto in quel giorno al pranzo sociale”.

“Ecco a destra una rossa bandiera,

Ecco un’altra a sinistra già appar;

Quinci spunta  affollata una schiera,

Quindi un’altra da lungi dispar.

Che si vuol colle azzurre coccarde?

Questo è forse un richiamo di guerra?

Deh,, chi salva la patria terra!

Quale grido ora al Ciel si innalzò?

Viva il RE CARLO ALBERTO, io sento

D’ogni intorno suonar mille voci:

Viva il PAPA rispondon veloci

Altri mille, che il grido destò.

Ohimè che fia giammai! Deh! Chi ci narra

Quale grande sovrasta a noi sventura?

Forse i nemici ne assaliro, o forse

La sacra del Re nostro alma persona

Da sacrilega man tocca or ci chiama

Alle sante difese; o forse Roma

Gli infedeli occupar, chè a schiere a schiere,

Vi adunate impugnando ampie bandiere?

Ma qual pallore, o Italiche

Madri, il sereno viso

Or vi scolora, o trepide:

E il solito sorriso

Sul labbro ora sen muor?

Deh! Non temete, innocue

Son le adunate schiere,

E l’apparire insolito

D’insolite bandiere

Di gioia è nunziator.

No, non è tempo, or parmi,

Di bellico furror:

L’affanno od il timor

Or non si addice.

E se al mio sguardo or lice

Scrutar nell’avvenir:

Non si vedran brandir

Cruente le armi.

Non si chiede, che uguali alle Amazzoni

      Or vi investa il furor di Bellona;

      Su cingete di fior la corona,

      Richiamate la gioja nel cor;

      E l’evviva, che or alto risuona

      Ce lo detta del Rege l’amor.

Sì del Rege l’amor, che noi suoi figli

E l’adusta Sardegna amico regge

Ed or che nuova legge

Più liberi ci rende e più felici,

Forse potrem nemici

Al pubblico gioir mostrarci e tardi

Noi Cavorresi, chè quant’altri gride

Viva il Re nostro e applauda,

Non dell’altrui minore

Serbiam fede ed amore

Alla paterna Dinastia Sabauda?

Viva il Re dunque, ognuno gridi: salve

Tu Re, Tu Padre, Tu Italiano, aspira

De’ tuoi figli all’affetto;

E noi saprem, non solo ora col detto,

A te fidi mostrarci:

Ma quando ancor dell’ostil rabbia a scorno,

Fatti guerrieri in campo,

Snudar l’acciaro ci toccasse un giorno.

Guai se avverrà che appajano

Fra noi le armi straniere

Coi mal repressi militi

Colle mal compre schiere

Parate il gran Pontefice

O il Rege a minacciar;

Noi piomberem terribili

Fatti guerrier di Dio:

Viva gridando unanimi:

Viva il RE nostro, e PIO!

Viva l’Italia! E l’impeto

Chi ne potria domar?

    Ma al furor del Borea altero,

All’indomita procella

Non paventa del gran Piero

L’agitata navicella;

Ognor saldo in poppa il Duce

Salva al porto la riduce,

Buon Piloto e Buon Pastor,

Ei cui seppe Iddio trascegliere

Giusta i voti del suo cor.

    Quando mai l’empia baldanza

Atterrò valor superno?

Fatto altero in sua possanza

Sorga pur l’intero Averno:

Vinto, oppresso ei cede il campo

E dispare come lampo

Alla possa del Pastor,

Cui degnossi Iddio trascegliere

Giusta i voti del suo cor.

Ben saprà PIO fra i turbini

    Chiamar securo il gregge,

    Ed ai Cristiani popoli

    Tonar di Dio la legge

    Legge di pace innocua,

    Che il reo goder non sa.

   E noi staremo intrepidi

    Nel nostro ardor possenti,

    Saldi staremo agli impeti

    Degli Aquilon furenti,

    Qual pino, che alto, immobile

    Pugna coi venti, e sta.

Ma, o bel Piemonte, or se alla gioja il core,

Aprir ti è dato, e se fiorente or sorgi

All’onor delle scienze, e se le muse

Spandono amiche su te l’almo influsso,

Dinne, dinne mercede al grande ALBERTO,

E a quella pace, che or continua dura:

Viva, viva la pace alma, secura.

Facciamo, amici Cavorresi, un voto:

Oh la discordia fella

Sempre lungi da noi porti sua face,

E mai non turbi quella,

Che or secura ci aduna amica pace!

Se ora sorta l’italica terra

     Sue coccarde e bandiere spiegò;

     Deh! Non dite che l’improba guerra

     Dal gran sonno l’Italia destò;

     L’empia guerra distrugge ed atterra

     Quanto Italia a sua gloria innalzò.

             Bella Pace, che il mondo rallegri

     Della guerra dall’empio furor,

     Bella pace, che il mondo rintegri

     Eccitando l’antico valor,

     A te sacri ora sono gli allegri

     Inni figli di gioja e di amor.


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