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TUTTOMELE: storia della frutticoltura locale 2- dal 1956 ad oggi

Dal 1957 le attività promosse dal CIFOP si integrano con quelle dei CLUB 3P - Provare, Produrre, Progredire -. Questi erano emanazioni delle organizzazioni professionali agricole che in quegli anni cominciavano a promuovere l’assistenza tecnica alle aziende.
Nel 1958 venne inaugurato con un viaggio in Alto Adige il ciclo di gite d’istruzione per i frutticoltori della zona; negli anni successivi questi viaggi furono l’occasione per visitare molte e diverse realtà frutticole in Italia e anche all’estero.

Nel 1962 il tecnico Martello lascia l’incarico ad un giovane agricoltore già socio del CLUB 3P e diventato “esperto coltivatore” grazie ad un corso organizzato dall’Università di Torino: Piero Latino. Piero ricorda quei periodi come gli anni “eroici” dell’assistenza tecnica, quando si andava in giro per le aziende con la lambretta sia di giorno per le visite aziendali, sia la sera per l’attività didattica. Proseguivano infatti le riunioni ed i corsi, tenuti da docenti come il Professor Carlone dell’Università di Torino, dal Professor Borzini e dal Prof. Garofalo dell’Osservatorio Fitopatologico Regionale (oggi Settore Fitosanitario Regionale). Le nuove tecniche di conduzione dei frutteti specializzati furono accolte dai frutticoltori con un misto di entusiasmo e diffidenza, ed il passaggio dalla conduzione tradizionale a quella specializzata fu lunga e difficile, con molte vittorie ma anche con tante critiche e ripensamenti.

Gli anni 1950 - 1960 vedono un veloce cambiamento del “paesaggio frutticolo”: diminuiscono le dimensioni degli alberi a seguito delle potature più razionali; gli alberi assumono nuove “forme”, si adottano la “piramide” e il “vaso” (forme adatte a gestire le piante vigorose di allora) che sostituiscono le vecchie piante a “forma sponatanea”, difficili da gestire. Le nuove - per il periodo - forme d’allevamento, con proporzioni ben definite, avevano però un grande difetto: necessitavano di un lungo periodo di “formazione” durante il quale le piante dovevano subire numerosi interventi di potatura, con il risultato di ritardarne l’entrata in produzione: le piante producevano dopo sette, otto anni dall’impianto, anche se poi andavano avanti a produrre per cinquant’anni. Oggi producono già al primo anno, ma a quindici sono considerate vecchie!

Contemporaneamente si diffuse sul nostro territorio la coltivazione di nuove varietà provenienti dall’America, per il frutticoltore più facili da gestire delle varietà tradizionali, ed anche molto apprezzate dai consumatori.
La mela figlia per eccellenza della “rivoluzione varietale” è stata senz’altro la Golden Delicious , la Delizia Gialla , varietà statunitense dei primi del novecento. La sua introduzione in zona fu graduale e non priva di ripensamenti. Innestata una prima volta a Bibiana nell’azienda di Antonio e Giovanni Picco di Bibiana negli anni 1929/1930 dal Dott. Dalleani dell’Ispettorato Agrario, questa varietà non incontra immediatamente il favore degli agricoltori: il frutto è, per l’epoca, di colore troppo chiaro, ma soprattutto è molto più sensibile delle vecchie varietà locali alle avversità, specialmente alla “ticchiolatura”, un fungo che, colpendo la vegetazione, portava le piante a “posare le foglie” già dall’estate, ragion per cui i frutti non arrivavano alla piena maturazione. Per questo motivo le piante vennero dopo alcuni anni reinnestate con Magnana, una tipica varietà della zona. A partire dagli anni ’50, con il progredire delle tecniche di gestione agronomica dei frutteti - potatura più razionale, utilizzo di portinnesti meno vigorosi, ad esempio il Dolcino - ma soprattutto con l’inizio della lotta alle avversità, la Delizia Gialla può estrinsecare al meglio le sue potenzialità: pianta maggiormente produttiva e di facile gestione, frutto buono da mangiare.

Così dal 1954/’55 la Golden viene“riabilitata” e, insieme alle Delizie Rosse - anch’esse statunitensi - sostituisce velocemente le varietà locali tradizionali, che negli anni successivi vennero relegate ai giardini delle case o a pochi frutteti delle zone più marginali.
Negli anni ’60 si ebbe una nuova drastica trasformazione del paesaggio frutticolo, con l’abbandono nei meleti della forma a “vaso” a favore di forme di allevamento più contenute, ad esempio la palmetta, di dimensioni più ridotte e quindi di più facile gestione, ma che necessitavano di pali e fili tutori.

Sono gli anni in cui si inizia una potatura più libera dai rigidi schemi imposti negli anni precedenti, potatura che permette di anticipare l’entrata in produzione delle piante e migliorare la qualità dei frutti. Piero Latino racconta - senza celare il sorriso che spesso ricorre durante questi racconti - dei grandi dispiaceri che fece passare al tecnico Martello ormai in pensione, quando iniziò a consigliare una potatura meno “severa”, senza troppi “tagli di formazione”. Piero ricorda che Martello arrivò a ripassare nelle aziende già visitate da lui per ribadire l’importanza della “rigida” potatura tradizionale.

Altro passo storico è rappresentato dall’arrivo nei primi anni ’70 dei portinnesti “nanizzanti”, le nuove selezioni aiutarono il frutticoltore ad ottenere un drastico contenimento della vigoria delle piante, il che significò una più agevole gestione delle operazioni di potatura e di raccolta, nonché un miglioramento dell’efficacia dei trattamenti.

L’adozione di portinnesti nanizzanti e delle forme d’allevamento contenute segna l’ingresso in zona dei frutteti come oggi li conosciamo, costituiti da piante in filari “fitti”, piantati a distanze regolari.

Con la diminuzione delle dimensioni e, in seguito, con l’avvento delle forme appiattite lungo il filare (dal vaso alla piramide, poi alla palmetta e al fusetto) si evolvono anche le operazioni di raccolta dei frutti. Le lunghe scale di legno che obbligavano ad una lenta, faticosa e pericolosa raccolta lasciarono il passo ai primi carri raccolta, che cominciarono ad apparire proprio nelle aziende che per prime si erano trasformate in frutticole specializzate: non erano ancora i carri semoventi utilizzati oggi nella quasi totalità dei frutteti, ma carri trainati “dalla piccola” (piccola trattrice della Fiat), con i pianali simili a quelli degli attuali semoventi.

In tutti questi anni di cambiamento l’assistenza tecnica fu non solo “vicina”, ma “dentro alle aziende, seguendole, stimolandole, formando i frutticoltori alle tecniche agronomiche d’avanguardia. Nel 1975 nacquero i Centri di Assistenza Tecnica Agraria, promossi dalla Regione Piemonte e dalle Organizzazioni Professionali Agricole, che diffusero e sostennero l’assistenza tecnica su tutto il territorio piemontese.

Dagli anni ‘70 ad oggi la frutticoltura ha subito nuove “rivoluzioni” tecniche, legate soprattutto alla sempre maggiore attenzione per i problemi ambientali e alla richiesta da parte del mercato di un prodotto di qualità, cioè garantito “salubre”. Se gli anni 1950/’60 furono quelli del trionfo dei prodotti di sintesi, dagli anni ’80 tecnici e frutticoltori hanno intrapreso un difficile percorso che mira a diminuire drasticamente l’immissione nell’ambiente di fertilizzanti e fitofarmaci, portando sulle tavole dei consumatori frutti sempre più salubri.

L’obiettivo si persegue attraverso strategie di conduzione dei frutteti rispettose dell’ambiente, che prevedono la conoscenza approfondita dei cicli degli insetti e dei funghi dannosi alle piante da frutto. La nascita e la diffusione delle tecniche della lotta integrata e biologica hanno visto il nostro territorio all’avanguardia nell’applicazione di questi metodi. La realizzazione di questo modello di frutticoltura, sebbene ormai consolidato nelle aziende, richiede un rapporto di fiducia molto stretto tra frutticoltore e tecnico; ancora oggi la figura del tecnico per le aziende frutticole è determinante.

 Finora si è parlato esclusivamente di mele e meleti… vi chiederete: “E l’altra frutta?” Perché le altre specie frutticole tardarono ad affermarsi sul nostro territorio? Di nuovo ce lo spiega Piero Latino, con una risposta data quasi senza pensarci:” Eravamo innamorati delle mele… Cavour voleva dire melicoltura…”. Ma a parte la battuta, non si può certo negare alla nostra zona una buona vocazionalità per la coltivazione di altre specie frutticole; i peri, ad esempio, sono stati e sono una presenza significativa nel panorama del germoplasma frutticolo locale.

Forse è per questo che TUTTOMELE negli anni è divenuta una manifestazione così apprezzata, perché alla base ci sono frutticoltori che ancora oggi sono “innamorati delle mele”, e ha intorno persone che apprezzano le mele, che le trovano belle da vedere e buone da mangiare. Come a riconferma di questo amore che ha radici lontane nel tempo, sono ricomparse nei filari e sui mercati, accanto alle selezioni più recenti, anche le antiche varietà tradizionali, le Ronzé, le Magnana, le Dominici, le Grigie di Torriana... La storia di queste varietà ci ha aiutato a ricostruire la storia della nostra frutticoltura, che è una parte significativa della più vasta storia del nostro territorio. E tutti, chi oggi le produce e chi le mangia, o chi semplicemente passeggia per TUTTOMELE, siamo gli attori attuali di questa storia.

 

                            I tecnici frutticoli di oggi: Marco Bottazzi, Monica Brugiafreddo, Sergio Bunino.

 Si ringrazia  Piero Latino(*) per i preziosissimi ricordi che ci ha regalato. Ci scusiamo se abbiamo riportato in modo parziale fatti e nomi ormai lontani nel tempo, saremo felici di accogliere altri suggerimenti.

 (Tratto dal Libro 25 anni di TUTTOMELE, 2004)  

 

(*)(Tecnico Frutticolo "premio Amore per Cavour 2006", Prematuramente  scomparso nel 2006)

 

 


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